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Quando un figlio è gay: «Basta lacrime, la libertà è un dovere»

Aspettando il Mantovapride si raccontano i genitori. «Dobbiamo imparare che i nostri ragazzi sono altro da noi» di Igor Cipollina http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova

L’ultima domanda, a sorpresa, è per il cronista che, con una piroetta, da moderatore atterra nel ruolo dell’intervistato: «Se un domani uno dei suo figli facesse coming out, dichiarandosi omosessuale, lei come reagirebbe?». La risposta facile, ruffiana, di fronte alla platea dell’Associazione genitori di omosessuali (Agedo) e agli attivisti dell’Arcigay La Salamandra, sarebbe: «Reagirei bene, se mio figlio è felice, lo sono anch’io». Ma certe verità bisogna viverle sulla pelle e nel cuore per potersi misurare con le proprie reazioni. E, quindi, la risposta è inevitabilmente: «Non lo so». Come non lo sapevano i genitori seduti sul palco del Teatro delle Cappuccine, nel cuore del quartiere San Leonardo, invitati a raccontare, a offrire la propria testimonianza in uno dei tanti eventi di preparazione al Mantovapride del 16 giugno.

Per due ore si è pianto, tanto, e riso, molto, impastando ricordi ed emozioni, interrogandosi sul ruolo di genitori, spesso incapaci di leggere i propri figli come altro da sé, fuori dal perimetro di aspettative che caricano loro addosso. «Molti dei problemi della scuola nascono dal mancato riconoscimento da parte dei genitori della diversità dei propri figli. Diversità nel senso di alterità, i figli sono altro da noi» ammonisce Marianna Pavesi, dirigente scolastico e assessore.

«Ai figli dovremmo consegnare una cassetta degli attrezzi per affrontare la vita uscendone con meno bozzi possibile» osserva Alessandra, responsabile di Agedo Mantova (contattabile scrivendo a genitoriagedomantova@gmail.com). A rappresentare il livello regionale c’è Rita Mura, che racconta di come il figlio quindicenne avesse lasciato un indizio, una chat omosessuale aperta sul computer di casa, per indurre i genitori ad affrontarlo. Alessandra, invece, lo ha saputo dalla bocca della figlia quindicenne (pure lei), adolescente impossibile, mentre spignattavano assieme attorno ai fornelli: «Bene, ora passiamo ad altro» la sua reazione, convinta che quello fosse lo snodo per lasciarsi alla spalle un periodo terribile e inaugurare una nuova stagione.

Lucio, unico papà sul palco, racconta tra le lacrime dei suoi sospetti di genitore e della lettera lasciata dal figlio, all’epoca già trentenne: «Fu un momento durissimo» rivela, «una cosa complicata» da digerire. Gli ci vollero mesi di dolore per accettarlo, ma adesso è qui, a parlare su questo palco. Abbondantemente oltre l’accettazione, nel terreno del rispetto amorevole. E poi c’è l’altra faccia della medaglia: per ogni figlio che fa coming out, c’è un genitore che deve trasmettere la notizia al mondo fuori, tra la cerchia di amici e parenti. Germana s’arrabbia ancora quando ripensa alle parole della cognata – «Io un figlio così l’avrei ammazzato» – a Cristina bruciano quelle della suocera – «Siete stati dei cattivi genitori, non gli avete insegnato la strada giusta» – tutti confessano di aver avuto paura per il mondo fuori, per gli spigoli di una società arretrata. Oggi meno di un tempo, ma sempre «eteronormata», a misura di coppia tradizionale, lui e lei. Romeo e Giulietta.

La pasionaria Dolores, che per Agedo Milano fa accoglienza, di lacrime ne ha versate e viste così tante che adesso non ne può più: «Sono stanca di vedere i genitori piangere» scandisce al microfono. Dell’omosessualità del figlio, oggi 45enne, l’ha saputo al telefono da un colonnello: aveva fatto coming out alla visita di leva. E dopo lo smarrimento iniziale ha cominciato subito a battagliare, convinta com’è che «la libertà sia un dovere».

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